Sono lieto di incontrarvi e, prima di tutto, vorrei esprimere la riconoscenza e la mia stima per il lavoro così prezioso che svolgete verso tante persone e per il bene della Fondazione, che oggi ricorda non solo un secolo di amore di Maria Grazia Barone, ma anche il giorno della nascita al cielo della nostra amata Alba Mazzeo.In un commento al racconto della creazione del mondo, nel libro della Genesi, Papa Francesco parlando della costola di adamo, da cui è tratta la donna, afferma : “per capire una donna bisogna prima sognarla: perché la donna è il grande dono di Dio, capace di portare quell’armonia che insegna ad amare e a rendere il mondo più meraviglioso.” L’affermazione del Pontefice ci avvicina alla testimonianza della vita di Alba. Il suo modo di agire con un linguaggio essenziale, una sua grammatica vitale, una modalità espressiva semplice ed essenziale, manifestava una personalità concreta che era il contrario dell’astrazione. Ella amava le persone con le loro povertà e ferite, maschere e meccanismi di difesa. Sapeva opporsi con quella responsabilità e capacità di rispondere con coraggio a qualcuno o a qualcosa. Nei gesti e nelle sue scelte si percepiva quell’antica abilità femminile del ricamo. Per risanare i rapporti interpersonali, difficili e complessi del tessuto quotidiano, le lacerazioni da chi le viveva accanto, gli strappi di ingiustizia si serviva della medicina della tenerezza.
Il suo sguardo toccava la coscienza, il cuore, il profondo e le sue parole diventavano trasmissione di valori e forza educativa per il prossimo. Certo, non le mancavano momenti di solitudine. Una solitudine non scelta per egoismo, ma imposta da circostanze e frutto del ciclo della vita. Poco tutelata nell’impegno professionale per invidia ed egoismo, con profonde ferite affettive, che qualche volta tentavano impropriamente di sminuire la positività della sua struttura di donna e di madre. È bello pensare che la sua dolcezza femminile si sia mescolata alla bellezza della verità. Cari amici, per l’odierna circostanza non possiamo dimenticare – sarebbe disumano – l’impegno di Alba per la Fondazione Barone. La sua qualificata prestazione si è sempre collocata nello spazio della gratuita; le sue scelte da Presidente dell’Ente erano ispirate dal realizzare una buona relazione tanto coinvolgente, da non lasciare nulla all’improvvisazione.
Cosa dire dell’attenzione di Alba per gli ospiti di questa casa? Al pari di nessun altro, ha concretizzato una relazione diretta e continua con gli anziani, se n’è presa quotidianamente, ascoltando le loro necessità ed entrando in contatto con il loro stesso corpo, facendosi carico integralmente dei bisogni delle persone, con quella tipica premura che tutti noi le abbiamo riconosciuto. Stando a contatto con operatori e familiari, oltre che con gli anziani, ha reso questo luogo crocevia di mille relazioni cordiali e serene. Proprio in questa sintesi di capacità umane che si è manifestato in pieno il valore e la preziosità del suo lavoro. Consapevole che davanti alla singolarità di ogni situazione non è mai abbastanza seguire un protocollo, Alba chiedeva un continuo e faticoso sforzo di discernimento e di premura per la singola persona, con una carezza e un sorriso pieno di significato. È semplice il gesto, ma porta su, fa sentire accompagnati, ci si sente persona, non un numero. Tutto questo ha contribuito a formare e rendere gli operatori della Fondazione “esperti in umanità”, chiamati, cioè, ad assolvere un compito insostituibile di umanizzazione in un territorio distratto, che troppo spesso lascia ai margini le persone più deboli, interessandosi solo di chi “vale”, o risponde a criteri di efficienza o di guadagno. Nel nostro ambiente, perciò, trova spazio anche il desiderio, talora inespresso, di spiritualità e di assistenza religiosa, che rappresenta per molti ospiti un elemento essenziale di senso e di serenità della vita, ancora più urgente nella fragilità dovuta all’età. Alba non agiva mai da sola, individualisticamente in proprio nome, ma a nome dell’Istituzione che rappresentava, senza dimenticare che la fondazione Barone aveva nelle sue radici la dimensione ecclesiale. Ella, perciò, ha cercato sempre di comportarsi come “inviata” che agiva a nome della Chiesa, vivendo la relazione interpersonale come una relazione a tre, in cui il terzo presente fra lei e l’altro o l’altra c’è, il Signore Gesù, a cui affidiamo il futuro di questa Casa.
Mons. Vincenzo Pelvi
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